Sophie Scholl non è nata antinazista, ci è diventata. Ha subito la propaganda del
regime ma ha fatto prevalere la coscienza sull’opportunità. Ha avuto coraggio,
si è assunta l’onere di non delegare. Ha riflettuto, ha scritto e distribuito
volantini. In uno si può leggere: “Ogni
parola che proviene dalla bocca di Hitler è una menzogna”. Ha disobbedito al
regime: non è rimasta in silenzio. Non ha rispettato il patto indicibile tra cittadini
e tiranni di tutte le stagioni: l’omertà. Le dittature d'altronde possono esistere
solo perché vengono tollerate. Non ha sparato, voleva scuotere e risvegliare. Ha resistito al
male, non è stata complice. Per non essere indifferente ha scelto di rinunciare
a sopravvivere. Nell’interrogatorio all’ufficiale della Gestapo ha ribadito: “ripeterei
quello che ho fatto, perché non io, ma lei ha una falsa visione del mondo”. È stata
uccisa ma è rimasta viva. Sophie Scholl aveva 21 anni ed era una studentessa universitaria(*).
(*)“Credo
sia vera la frase di Maritain: Il faut avoir l’esprit dure et le coeur tendre".
(Sophie Scholl, in Hans e Sophie Scholl, Lettere e Diari, trad. V. Gallegati, Itaca, 2006, p. 230)
“Dovrò
lavorare alla fabbrica ancora alcune settimane. È un’occupazione tremendamente
impersonale e fredda. Sei tutto il giorno alla macchina a fare in eterno sempre
lo stesso movimento. […] Fisicamente stanchi e psicologicamente disgustati si
torna a casa la sera. Lo sguardo delle persone di fronte alla macchina è triste
e ricorda quello degli schiavi. Solo che lo schiavista lo hanno incoronato direttamente
loro.
(Sophie
Scholl, lettera a Fritz Hartnagel dell’agosto 1942, in Hans e Sophie Scholl,
Lettere e Diari, trad. V. Gallegati, Itaca, 2006, p. 242)