Dio
ci propone di amare la vita, non il mondo. Sognava di far crescere i suoi figli
in una società-comunità e non in una società-azienda. Le relazioni sono
avvelenate dalle logiche di produzione. Si compete, si sgomita, si lasciano
feriti sulla strada, ma siccome il sangue non si vede si torna a casa con la
coscienza pulita. Tutto giustificato dalla difesa del proprio orticello. Per
garantire se stessi e la propria famiglia ci hanno insegnato a considerare gli
altri dei nemici. Siamo schifosamente indifferenti, colpevolizziamo chi sta in
difficoltà. Il migrante? Poteva rimanere a casa sua. Il disoccupato? Non si
vuole sacrificare/adeguare. Il precario? Ha preso una laurea inutile. Il mondo
è un luogo molto inospitale, o meglio è un luogo che l’uomo ha reso tale.
Eppure nella mente di Dio l’uomo nasce innocente e fragile a tal punto che può
sopravvivere solo se qualcuno si prende cura di lui. Sopravvive per
solidarietà. Il problema è che quando cresce se lo dimentica. Dovremmo
fermarci e verificare se le scelte sono compatibili con la nostra umanità o sono
indotte dall'esterno. Siamo condizionati, agiamo per rinforzare l’immagine che desideriamo
viva nella mente degli altri. Questo è il punto di partenza: sta a noi accettarlo
o iniziare un cammino di liberazione verso la verità e l’unicità di noi stessi.
Infatti siamo pezzi unici e originali non repliche.
Teologia dei poveri.