“Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!»” (Salmo 137, 3).
Gli
oppressi che si indignano mettono a disagio, non rispettano il ruolo che il
Sistema e i suoi accoliti hanno stabilito. Possono mendicare, senza arrecare
disturbo alla quiete, anzi all'ignavia pubblica ma devono mostrarsi simpatici
in modo tale che gli oppressori non si infastidiscano alla loro vista. Se
possibile dovrebbero trasformarsi in macchiette
per allietare il politico che esce esausto dal Parlamento dopo aver votato l’ennesima
legge elettorale incostituzionale, l’imprenditore che si è svenato per
finanziare un partito in cambio di appalti, il promotore finanziario che si è
stressato per convincere un pensionato ad investire in un fondo azionario.
Disoccupati, precari, sfruttati, poveri, migranti tutti nelle strade per sollevare
il morale agli oppressori o semplicemente per intrattenerli con un po’ di buona
musica. Un futuro da busker per dare
un tocco di folklore a queste città indaffarate e produttive e ovviamente
cattoliche. Gli oppressi devono parlare a bassa voce e non devono usare
espressioni volgari. Chi si esprime con rabbia ha torto. Così ha sentenziato il
Sistema. Se vuoi protestare ti presenti ben vestito, profumato e con
la gelatina sui capelli (se ancora ce l’hai). Gli oppressi non devono
rivendicare diritti sennò diventano estremisti, al limite possono chiedere
concessioni. Se si organizzano invece diventano automaticamente populisti, se
chiedono giustizia sociale diventano demagogici. Così al Sistema basta l’uso
delle parole per garantirsi la propria sopravvivenza.