Siamo tutti alla ricerca di un
incontro che ci salva: che sia un uomo, una donna o Dio. Avvertiamo una
mancanza o più precisamente un’assenza. Comprendiamo che alcuni nodi della
nostra esistenza possono essere sciolti solo con l’aiuto di un’altra mano, che
i sotterranei della nostra anima sono così bui che non ce la facciamo a percorrerli
da soli e che di frustrazione affettiva alla lunga si muore. La vita, in
definitiva, è attesa di un incontro che restituisca senso all'attesa stessa. Un
incontro capace di spiegare la sofferenza precedente e che promette di alleviare,
condividendola, quella futura. Vediamo nella nostra vita spuntare dei germogli
che vorremmo far crescere e che invece a volte calpestiamo. È necessario che
Qualcuno li metta al riparo dalla nostra imperizia o meschinità e sappia
curarli dopo essere stati danneggiati. Non siamo autarchici anche se spesso, ingannandoci, ci convinciamo del
contrario. La relazione è iscritta nel nostro DNA. Siamo incompleti ed abbiamo una spinta, anche inconsapevole,
alla pienezza. All'origine di tutti gli isolamenti c’è una ferita nelle
relazioni. Nell'isolamento pensiamo di curarla meglio mentre la aggraviamo.
Riconoscendo le nostre ferite riusciremo a perdonarci e la smetteremo di
giocare all'uomo o donna invincibile. Accogliendo le nostre ferite vedremo con
sguardo diverso anche quelle degli altri e potremo costruire relazioni
autentiche. Siamo come malati in cerca di un incontro che ci guarisca. E tutto
si compie in questo paradosso: entrare in se stessi per poterne uscire. Con l’aiuto
di un Altro. Potremo impegnarci in tutti i lavori che troviamo, potremo
distrarci con tutti gli hobby che esistono rimarrà sempre il problema della
nostra anima in cerca di Qualcuno che le dica: “Sono io la tua salvezza”*.
*Salmo 35,3