La
santità non è più un ideale nemmeno per chi si professa cristiano praticante. Con la falsa umiltà
tipica degli ipocriti viene considerata come qualcosa di irraggiungibile o
comunque riservata ai supereroi. Certo a questa devastante mistificazione hanno
contribuito le agiografie dei santi-marziani e alcuni insegnamenti deformanti i cui strascichi sono visibili anche ai nostri giorni.
Infatti non si è ancora spezzata l’identificazione della santità con l’ascesi performante,
con gli sforzi disumani e con l’appartenenza al clero o comunque agli ordini
religiosi. Si è confusa la rigidità non evangelica con la radicalità evangelica
della sequela. Forse è arrivato il momento di evangelizzare anche il linguaggio
della santità: infatti più che eroicità nell'esercizio delle virtù, occorre qualcosa di diverso e più profondo.
Riconoscere cioè la propria ferita e l’incapacità di guarirla da soli per
decidersi di abbandonarsi all'azione della grazia. Lo Spirito è l’unico artefice
della santità non certo i nostri buoni propositi spesso a servizio del nostro
orgoglio. Il santo agisce nell'ordinario, in modo anonimo, non rilevato dai
collezionisti di miracoli, a volte semplicemente incompreso altre addirittura frainteso.
Il santo non è quello che recita secondo gli schemi della religiosità. Il santo
è l’uomo che cerca la giustizia e che si indigna, è l’uomo che soffre cercando
un senso alla sofferenza propria e degli altri. Il santo è l’uomo che fa sua
l’opzione di Dio per la compassione. Il santo è quello che spera nell'azione
della Provvidenza all'interno della storia nonostante l’apparente invincibilità
delle strutture di peccato. Il santo è quello che non crede ai (dis)valori
degli idoli anche se socialmente convenienti. Ma per riconoscere un santo senza fenomeni paranormali ci
vogliono gli occhi di Dio, quelli umani, solo razionali, non sono abilitati.
* Santi per vocazione: Lettera ai Romani 1,7
Testo di Santa Teresa di Gesù Bambino (MsA, 31v°)
“Così, leggendo i racconti delle gesta patriottiche delle eroine francesi, in particolare quelle della Venerabile Giovanna d'Arco, avevo un grande desiderio d'imitarle. Mi sembrava di sentire in me lo stesso ardore da cui erano animate, la stessa ispirazione Celeste: allora ricevetti una grazia che ho sempre ritenuto come una delle più grandi della mia vita, perché a quell'età non ricevevo luci come adesso che ne sono inondata. Pensai che ero nata per la gloria, e mentre cercavo il mezzo per giungervi, il buon Dio m'ispirò i sentimenti che ho appena scritto. Mi fece capire anche che la mia gloria non sarebbe apparsa agli occhi mortali, e che consisteva nel divenire una grande Santa!!!... Questo desiderio potrebbe sembrare temerario se si considera quanto ero debole e imperfetta, e quanto lo sono ancora dopo sette anni passati in religione. Tuttavia sento sempre la stessa audace fiducia di diventare una grande Santa, perché non faccio affidamento sui miei meriti, visto che non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità Stessa: è Lui solo che accontentandosi dei miei deboli sforzi mi eleverà fino a Lui e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà Santa”.
(Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere complete. Scritti e ultime parole, Editrice Vaticana-OCD, Città del Vaticano-Roma 1997, p. 124)