Senza
esercito, in un mondo che collega la dignità alla forza.
Vittime
della logica per cui può vivere solo chi s’impone, può vivere solo chi conquista.
Nessuna
pietà, quindi, nessun riconoscimento dell’altro, di chi è non-identico per
cultura, provenienza, credo religioso.
Depredati
del diritto naturale alla sopravvivenza, si tenta di cancellarli anche dalla
storia e dalle coscienze.
Non possono
essere nemmeno nominati: per non disturbare la repressione, per non aprire
crisi internazionali.
La
morte deve avanzare senza ostacoli.
Così, chi dice Rohingya oggi, dice
Giustizia.
E
allora gridiamolo il loro nome benedetto.
Tutti
insieme.
Senza
fermarci.