«Il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano» (Cantico dei Cantici 4,11)*.
La festa di Maria Madre del Carmelo, che abbiamo la grazia di tornare a celebrare ogni anno, rinnova sempre l’invito, per noi, a entrare nella contemplazione della spiritualità carmelitana, del cammino di fede che il Carmelo offre a quanti ad esso di avvicinano e decidono di sostare, di mettere radici nella sua terra.E questa contemplazione, esperienza di stupore, di meraviglia per il nostro cuore, trova il suo punto di inizio proprio nella presenza, nel volto di Maria, che al Carmelo è sentita come Madre sì, ma forse ancor più come Sorella. Lei, che vive accanto a noi, come noi, potremmo dire, partecipe dell’arduo e a volte tanto faticoso cammino della fede, si offre alla nostra compagnia, al nostro bisogno di Presenza, al nostro bisogno di amore, comprensione, cura, ascolto e dialogo.
È, dunque, volgendo il nostro sguardo a Maria che cercheremo di portare alla luce alcuni tratti più caratteristici, più costitutivi della spiritualità carmelitana, in una meditazione di ascolto, di ruminazione, possiamo dire, che ci aiuti a far incontrare la nostra realtà, il nostro oggi, ciò che sentiamo passare sulla nostra pelle e dentro il nostro cuore più profondo, più vivo, con la realtà mistica spirituale del Carmelo. Bisogna, infatti, che avvenga l’incontro, che si insaturi il dialogo tra ciò che noi siamo, oggi, qui, e ciò che il Carmelo, con la sua luminosa grazia spirituale offre e propone, come cammino di crescita nella fede.
Dunque, gli occhi del nostro cuore rivolti a Maria; le orecchie della nostra interiorità attente alla sua voce, alle sue parole di Madre, di Sorella, di Amica e compagna di vita.
Proveremo a prendere questa postura interiore, poggiando su un versetto della Scrittura, che potrà farci da guida in questo nostro cammino di ricerca e di contemplazione. Si tratta di un versetto che raccogliamo con profonda attenzione e umiltà dal Cantico dei Cantici, in uno dei passaggi più belli di questo Libro biblico così unico e straordinario. Siamo al capitolo 4, dove ascoltiamo la voce dello sposo che descrive, come in estasi, la bellezza della sua sposa e dove, finalmente, i due amanti si incontrano, si ricevono in reciproco abbraccio, nel giardino, luogo mistico per eccellenza, spazio memoriale della comunione dell’uomo con Dio, come era in principio.
Le parole sulle quali ci soffermeremo, che escono come un canto d’amore dalla bocca dello sposo, sono queste: “Miele di favo stillano le tue labbra, sposa.
Miele e latte sotto la tua lingua;
e il profumo delle tue vesti come il profumo del Libano” (Ct 4,11).
Nel segreto di queste immagini, che si incalzano e si susseguono, possiamo intuire e fissare con la forza spirituale del cuore, la bellezza della presenza di Maria, la sposa per eccellenza, la sposa perfettamente realizzata. Ma, attraverso di Lei, possiamo scoprire la bellezza del Carmelo, che da Lei nasce e da Lei viene nutrito, sostenuto, illuminato. Il Carmelo, infatti, è inscindibilmente legato a sua Madre, la Vergine Maria.
Un incontro del cuore.
Agli occhi del Carmelo, dunque, Maria è sposa; è colei che offre lo spazio benedetto dell’incontro, della relazione. Una relazione profonda, non superficiale; amorosa, non distaccata. Di lei vengono messi in luce i tratti più personali, più femminili: le labbra e la lingua dolci come il miele e il latte, le vesti profumate. Maria si presenta a noi, così, come presenza di dialogo, di comunicazione; con Lei è possibile scambiare parole, baci, contatto, abbracci. In quanto sposa, Lei è segnata dalla grazia dell’essere scelta, dell’essere riservata per lo sposo, come ci suggerisce il significato della radice della parola che il testo biblico utilizza, per dire sposa, kallàh in ebraico. Maria è completa così, è figura di piena realizzazione; riempimento di bellezza grazie alla relazione che Lei desidera instaurare e vivere con chiunque si avvicini a Lei e venga a cercarla, a richiederla, a desiderarla.Ma questa sua bellezza, umile e forte, riservata eppure tanto decisa, è custodita nel cuore. Le sue vesti hanno il profumo, hanno la memoria viva, del Libano, dice lo sposo. Non si tratta di una reminiscenza geografica, bensì di una rivelazione spirituale molto forte; Libano, infatti, Levanòn in ebraico, è costruito sulla parola lev, che vuol dire cuore. Ciò che la sposa Maria porta su di sé, ciò che lei offre nel suo incontrare lo sposo, e in lui ognuno di noi, che fa l’esperienza dell’incontro con Lei, è in realtà il suo cuore, la sua profonda, intima, personale interiorità. Come Lei è al di dentro, così si presenta al di fuori. Lei è come tutta rivestita, tutta avvolta dal cuore. E’ un incontro, una relazione di cuore che Lei offre, che Lei invita a vivere, a sperimentare. Nel Carmelo avviene proprio questo: si è come attirati, a volte in modo irresistibile, a entrare al di dentro, a scendere negli spazi profondi dell’interiorità. Cammino bellissimo, sebbene difficile e impegnativo!
Potremmo dire che il cammino di fede, il cammino spirituale che il Carmelo offre, è un grande passaggio attraverso tappe successive, che però sempre si ripropongono, di interiorità, di incontro e relazione di cuore. Tutto prende la forma, la sostanza, lo spazio, il linguaggio, del cuore.
Le parole, i baci, gli abbracci che la Sacra Scrittura ci offre come segni e immagini della presenza viva della sposa, diventano per noi la realtà della presenza della sposa Maria nel nostro cammino di ricerca, di fede, attraverso la grazia della spiritualità del Carmelo.
Il segno della veste.
Proviamo, ora, subito a compiere il primo fondamentale passaggio, che ci permette di intraprendere il viaggio di questo incontro, o potremmo anche dire, la celebrazione di questa relazione, di questa reciproca conoscenza di amore tra noi e Maria Madre del Carmelo.Torniamo al segno della veste, così caratteristico, così umanamente comune, eppure allo stesso tempo così tanto divino, così tanto carico di significato biblico. Per noi, al Carmelo, la veste prende la forma e il volto dello Scapolare, abito di Maria, mantello offerto e indossato per la salvezza. Abito che esprime, come abbiamo visto, la forza, la verità del cuore, dell’interiorità.
Non è però possibile cogliere tutta la grazia di questo segno, se non partendo da una premessa fondamentale indispensabile: per poterci rivestire veramente dello Scapolare, per comprendere e vivere il suo significato più vero, occorre che facciamo esperienza della nostra nudità. Il Signore intesse le vesti della sua misericordia, della sua grazia per noi e ce le presenta, attraverso diverse immagini e figure, proprio perché noi prendiamo coscienza, prendiamo contatto, con atteggiamento di autentica verità, di consapevole conoscenza di noi stessi, di aperta accoglienza di ciò che noi siamo, prendiamo contatto con la nostra nudità.
La spiritualità del Carmelo, se inizia ad entrare dentro, se apre un dialogo con la vita, con l’interiorità, inevitabilmente compie questa operazione di verità: ben presto si inizia a sentirsi letti dentro, conosciuti nel cuore, nell'intimo dell’essere. Piano piano ci si sente un po’ come spogliare. Una spiritualità così fondata sulla relazione, sull'incontro, sul faccia a faccia, sul dialogo, sull'incontro d’amore, porta anche a una esperienza di nudità. Veniamo a trovarci davanti al Signore nella nostra verità e non ci è più possibile far finta di niente, non possiamo nasconderci, camuffarci, fingendo di essere altri da ciò che siamo.
E questo è un dono grande! Allora, si tratta davvero di decidere se ce la sentiamo di proseguire oppure no. Le regole del gioco sono queste, regole esigenti!
Desideri lasciarti rivestire dell’abito di Maria, lo Scapolare? Desideri vivere il dono tanto bello e prezioso dell’amicizia, dell’amore con Lei, con il Signore, nella grazia del Carmelo? Se sì, bisogna che tu parta dall'esperienza, sicuramente un po’ bruciante, della tua nudità.
La Sacra Scrittura ci aiuta, però, subito a intuire un bellissimo cammino di recupero, di accoglienza di questa nostra condizione e ci permette di leggerci come i figli amati e rivestititi con cura, con delicatissima tenerezza dalle mani del Padre.
Un susseguirsi sorprendente dell’immagine-segno della veste accompagna lo scorrere dei Libri della Sacra Scrittura, dalla Genesi, fino ai libri storici, fino ai profeti e poi ai Vangeli e all’Apocalisse. Incontriamo a più riprese questa luminosa apparizione, che ci rassicura, ci fa sentire raccolti, custoditi, davvero amati da Dio. Lui, come il più esperto e delicato tessitore – così lo chiama il profeta Isaia (38,12) – è sempre desto nel suo lavoro attento e premuroso, nel suo confezionare vesti di amore, di misericordia per noi.
Lo Scapolare, come abito di Maria, abito della Madre, dunque, compendia in sé tutta la grazia del segno, dell’immagine della veste preparata da Dio per i suoi figli.
Accenno solo brevemente alle vesti intessute da Dio per Adamo ed Eva, dopo la caduta, necessaria copertura per la fragilità e la lontananza, medicina alla nostalgia per la Presenza del volto del Padre. O alla veste dalle lunghe maniche, confezionata dal padre Giacobbe per Giuseppe, figlio diletto, nato dalla moglie più amata, preferita fra tutte; veste da re, per dire, ancora una volta, l’intensità dell’amore. O alla piccola veste che, ogni anno, confezionava Anna per Samuele, il figlio donato al Signore. Anche il profeta Elia, uomo di Dio, portava un mantello, poi donato a Eliseo, suo discepolo; veste per la profezia, per l’annuncio del regno di Dio. Come lui, anche Gionata volle donare le sue vesti e il mantello a Davide, l’amico che amava, in segno di unione, alleanza per il cammino di vita. E poi ancora le vesti di salvezza, cantate dal profeta Isaia e le vesti per ricoprire il peccato, che il profeta Zaccaria presenta. Fino a incontrare quella veste particolarissima, chiamata la veste più bella, che il padre chiede sia data al figlio, per il suo ingresso al banchetto, nella celebrazione della festa del ritorno a casa e all'abbraccio del padre. E la veste del vincitore, veste bianca, lavata nel sangue dell’Agnello e così resa candida; veste dei redenti, che insieme cantano la gioia di appartenere a Dio, come ci narra il libro dell’Apocalisse. Ma compendio di tutti questi doni di grazia, passaggi di bellezza in bellezza fino alla pienezza della meraviglia, è la veste di Cristo, tessuta tutta di un pezzo, che non è possibile lacerare. Viene tirata a sorte, per vedere a chi tocca, per vedere per quale vita, per quale storia d’amore di Dio con la sua creatura, essa è destinata e tessuta.
Quando, dunque, si guarda o si indossa lo Scapolare del Carmelo, come segno di adesione a un cammino di fede, di ricerca di Dio, di desiderio di relazione viva con Lui, attraverso la spiritualità del Carmelo, ecco, si ha davanti allo sguardo del cuore tutto questo grande percorso di grazia, di misericordia, da un capo all'altro della Bibbia. Come se si giungesse finalmente a una sorgente di acqua vivente, presso la quale è possibile fermarsi e trovare ristoro.
La fonte del Carmelo.
Ma nella spiritualità carmelitana questo luogo fontale, questo principio da cui zampilla grazia per la vita del cuore, si trova custodito nel testo della Regola. Una paginetta, una lettera breve, di poche battute, essenziale, eppure traboccante di luce, di indicazioni, di segnali per un cammino sicuro, che porta all'incontro con la salvezza, che è il Signore Gesù.Avendo ricevuto il dono-segno della veste, avendo ascoltato l’annuncio di questa grazia preparata per chi decide di entrare nel cammino spirituale del Carmelo, è possibile ora accostarsi al principio, al fondamento e lì raccogliere i passaggi più significativi che segnano il passo, attraverso alcune tappe più importanti.
Ripercorrendo, dunque, il testo della nostra Regola, che in realtà si chiama Formula di vita, proveremo, in maniera molto semplice ed essenziale, a fissare alcuni punti fondamentali, che potrebbero essere questi: la dimensione familiare, fraterna del Carmelo; il deserto come spazio di incontro e di vita; la figura del profeta Elia, come padre e maestro; e infine, il punto più alto, il cuore di tutto il percorso, che è il Signore Gesù e il cammino per arrivare a Lui, per stare con Lui, che, al Carmelo, è detto obsequium Jesu Christi.
Per cominciare: al Carmelo si è figli e fratelli.
Dicevamo che il nostro testo fondamentale di riferimento è la Regola del Carmelo, in realtà una breve lettera scritta dal Patriarca latino di Gerusalemme agli inizi del 1200 per gli eremiti che già dimoravano sul Monte Carmelo. Una lettera di famiglia, indirizzata dal padre ai suoi figli diletti; così egli li chiama. Testo legislativo, sì, eppure tanto semplice, tanto familiare; normativo per la vita di generazioni e generazioni di fratelli e sorelle che lungo i secoli hanno aderito all’esperienza spirituale del Carmelo, eppure, allo stesso tempo, testo leggero, senza definizioni anguste di confini, di movimenti, di lecito o non lecito.Appunto, semplicemente una Formula di vita, per la vita. E formula, in latino, è diminutivo di forma, ossia bellezza. Insomma, sembra quasi che il Patriarca, Alberto Avogadro, consegnando quel suo testo scritto ai primi Carmelitani, svelasse loro la domanda che si portavano dentro, forse senza saperlo, che è la stessa domanda che muove, da sempre, la vita di ogni uomo, ogni donna, anche la nostra. E la domanda è questa: Ma come si fa a rendere bella la vita? Quale forma, quale volto dare alla nostra esistenza per trovare bellezza di senso? Non si tratta, infatti, di raccogliere norme, regole, possibilità e proibizioni e poi applicarle alla vita. No! Si tratta piuttosto di entrare in contatto, di osare relazione, incontro, conoscenza.
La prima parola, con cui si apre il testo della Regola carmelitana non è altro che un nome proprio di persona: “Albertus”, nel testo latino. Nome subito seguito dalla caratterizzazione umanissima espressa dalla parola patriarca, ossia padre. Si mette anche lui nel numero incalcolabile dei chiamati da Dio, degli amati da Dio, che tutti ci conosce per nome e offre lo spazio aperto della relazione, della famiglia. Scrive ai suoi figli, questo padre amorevole, attento, disponibile ad offrire appoggio per la felicità, per la grazia.
E riempie il suo testo, norma di legge per la vita vissuta nell'amore, della ripetizione delle parole più belle: figli e fratelli. Tantissime volte sentiamo questi echi di incontro, di relazione vissuta. La fede, al Carmelo, si alimenta così: nello scoprirsi figli ogni giorno, nell'offrirsi, fratelli e sorelle, accanto ad altri che, come noi, al pari di noi, cercano senso alla vita, cercano casa.
Il Carmelo è conosciuto per la sua esperienza di preghiera, per i suoi famosi personaggi, maestri di mistica, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, ecc. Nomi altisonanti che mettono soggezione, che fanno pensare: Ma quando mai io potrò vivere un’esperienza così elevata, così difficile?
Invece no! Il Carmelo parte e nasce da una dimensione molto più familiare, semplice, alla portata di tutti; parte dal nostro essere ciò che già siamo, per essenza di essere, per chiamata di Dio, fin dal principio: fratelli e sorelle, figli e figlie di un padre, che tutti ci unisce, tutti ci chiama a incontrarlo, a gustare il suo amore, tavola imbandita per la fame di tutti, attorno alla quale non manca mai posto per la felicità.
Lo spazio benedetto della solitudine.
Però, al contempo, ecco aprirsi davanti a noi anche lo spazio così caratteristico e forse un po’ ostile del deserto: heremus, scrive Alberto. La sua penna di padre, che non può nascondere il vero ai suoi figli, non tiene nascosto questo aspetto della bellezza della vita al Carmelo. Chiama i suoi figli heremiti, disegna per loro lo spazio di vita del deserto, della solitudine, segna alcuni confini invalicabili, dove il cuore di ognuno deve imparare a restare, a respirare, a crescere ancora. Non può esserci sconto alla solitudine dell’essere umano; indispensabile bellezza che nasce come pienezza all'incontro, alla relazione. E per noi, al Carmelo, per quanti entrano in questa compagnia di figli, fratelli e sorelle che cercano Dio, il deserto, l’eremo, prende il volto, prende la forma della cella, cellula scrive Alberto. Ognuno ha la sua; la riceve come un segno sul cuore, una traccia che non verrà mai più cancellata: ad-signata, infatti, è la cella.Si tratta, in realtà, del cuore stesso, spazio interiore del nostro dialogare amoroso con Dio. Possibilità data a tutti! Non che sia appannaggio di chi vive l’esperienza carmelitana nel monastero, perché chiamata a esser monaca. In qualsiasi forma si viva il cammino della spiritualità carmelitana, anche nel mondo, non può mancare questo aspetto così particolare e forse unico: il varco di solitudine abitata al di dentro. Inhabitare dice Alberto, per fare capire che il cammino ci spinge in profondità, lontano dalle superfici, dove non si può metter radici. Ecco, questo è il dono di grande bellezza che riceviamo: una celletta, che è come il cuore del nostro cuore, dentro la quale ci è possibile vivere, rimanere, abitare. Qui si impara la preghiera, la meditazione. Non ci sono parole già stabilite da dire, né formule da ripetere e tante più sono e meglio è, un rosario, due rosari, tre coroncine. No, non è così. Al Carmelo è la vita stessa che prega, è tutto il tuo essere che si unifica, perché cerca, prima di tutto, per sete, per amore, per essenza, il volto, la presenza, il respiro di Dio. In questa dimensione così forte, eppur semplicissima, dell’interiorità, dell’abitare al di dentro. Giorno e notte, scrive Alberto, bisogna meditare nella Legge, nella Parola del Signore, rimanendo nel cuore, come dentro una cella segreta, inviolabile, perché c’è il sigillo dell’amore, del bacio sopra di essa.
E così la vita rimane desta, rimane ardente nel desiderio, nella speranza di una bellezza che sempre fiorisce, ogni giorno. Nelle preghiere rimanendo svegli; scrive così il nostro padre.
Sì, non ci si può addormentare, quando arde l’amore!
Il profeta, nostro maestro.
Su questo orizzonte così particolare si presenta, sulla via del Carmelo, il profeta Elia, che per noi è un padre, un maestro, un compagno di cammino, di ricerca, di crescita, di lotta e conquista. Come sappiamo il Carmelo non ha un fondatore; ha però un padre spirituale, una guida, possiamo dire, che è, appunto, il profeta Elia. In apertura del testo della Regola i primi Carmelitani vengono identificati come gli eremiti che dimorano presso la Fonte sul Monte Carmelo e questa Fonte è da sempre identificata, nella nostra tradizione, con la Fons Eliae, luogo spirituale di grazia, punto di attrazione e di attraversamento per l’incontro con Dio.Presso questa fonte il nostro profeta ci accoglie e accetta di condividere con noi il suo tesoro, quasi una dote nuziale per il nostro incontro, il nostro dialogare con la vita, che diventa come una specie di sposalizio, ovvero un coinvolgimento pieno, di tutto l’essere, a partire dal cuore. E’ la celebrazione quotidiana di una passione d’amore, che ci investe, ci accompagna, ci sostiene, ci illumina, ci dà sempre speranza.
Elia ripete che il Signore, il Dio di Israele, è vivente e che il nostro posto, nella vita, nel mondo, è stare davanti al suo volto. Con queste parole, infatti, si apre il capitolo 17 del primo Libro dei Re, che inaugura il cosiddetto ciclo di Elia, nella Sacra Scrittura: “Vive il Signore, che davanti al volto di Lui io rimango, io sto, io servo”.
Una posizione vincente, di grazia, quella che Elia insegna ai suoi figli e che il Carmelo continua a suggerire a quanti entrano nel cammino spirituale che esso propone: stare così, ritti, davanti al volto di Dio. Segni sicuri, questi, di relazione, di incontro, di conoscenza reciproca.
Ecco, sì, questa è la preghiera, al Carmelo. Non tante parole, ma sguardo, presenza dell’uno per l’altro, noi e il Signore, il Dio di Israele. E’ importantissimo arrivare a questo passaggio nel cammino spirituale del Carmelo. Su questo terreno è fiorita tutta la dottrina di Teresa, di Giovanni della Croce, insomma, di tutti i nostri Santi, fratelli e sorelle che hanno trasformato la loro vita in bellezza, grazie ai doni di luce che il Carmelo offre a chi si avvicina, a chi lo frequenta.
Si potrebbe approfondire molto di più il discorso su Elia, sul suo insegnamento, soprattutto sulla preghiera, che lui ci lascia come dono, come eredità preziosissima. Lo vediamo, infatti, ancora sul Monte Carmelo, come piegato, quasi fosse un feto nel grembo materno, mentre attende che salga dal mare la pioggia, simbolo della grazia, della misericordia di Dio per il mondo. Lui, col volto fra le ginocchia, intercede, supplica Dio e ci aiuta a comprendere che non può esserci vita, non possiamo sperare di nascere ancora, uomini e donne nuovi, se non così, prendendo la posizione della preghiera, entrando nel grembo della preghiera.
Se cerchi una madre per te, devi sapere che al Carmelo essa si chiama preghiera.
E infine, la meta, la vetta, che è il Signore Gesù.
Ma tutto questo grande cammino, questa bellezza di grazia, di dono, che la spiritualità del Carmelo ci offre, trova compimento e pienezza in Gesù, vetta del Monte, fratello sì, ma ancor più Sposo, l’Amante che cerca il tuo volto, il tuo cuore. E’ meraviglioso notare come il nostro testo della Vitae Formula sia come intessuto da questa presenza di Cristo, il Signore; è Lui che apre e chiude tutto il quadro di vita che il testo del patriarca Alberto presenta; è Lui che raccoglie, attira a Sé i fratelli, eremiti compagni; è Lui che poi torna, per certo ritorna!, dicendo: Ti rifonderò quanto hai speso per me, risponderò con amore al tuo amore per me. A sigillo della Regola carmelitana è posta proprio, anche se solo adombrata, come immagine di speranza, la parabola del buon samaritano, per aiutarci a comprendere che il Carmelo è come la locanda della misericordia, della compassione divina, presso la quale ognuno di noi viene condotto, accompagnato da una cura tenace, amorevole, attenta. Luogo dell’attesa, dell’appuntamento, dell’incontro, finalmente!, con il Signore Gesù.E tutto questo viene riassunto e condensato in una espressione, che fa parte del nostro tesoro spirituale e che ha orientato generazioni e generazioni di fratelli e sorelle, che in tanti modi diversi, hanno cercato il Signore dentro l’esperienza del Carmelo: Alberto ce la consegna dicendo “in obsequium Jesu Christi”.
La spiritualità carmelitana, potremmo dire, è vivere nell'ossequio di Gesù Cristo. Ma cosa significano queste parole? Quale legame può esserci tra questa espressione latina, che viene da tanto lontano, e la nostra vita di oggi, il bisogno del nostro cuore, il senso che cerchiamo alla nostra esistenza, la nostra fatica, tante volte, a continuare a credere, a insistere nell'aspettare, nel cercare il volto di Dio?
Un cammino, una sequela, un rimanere sui passi, sulle orme di Lui, il Signore, che viene, che ritorna. Ricordiamo? Eravamo stati trovati spogliati all'inizio del cammino, bisognosi di cure, di vesti, presi nella grazia della consapevolezza di noi, del nostro bisogno di Dio, del suo amore. Così, in fondo, siamo ancora, dopo tanti passaggi di grazia: lo Scapolare, la Vergine Madre e Sorella, la relazione, i fratelli, e poi la solitudine, il deserto, la cella; e ancora il profeta della preghiera, le nozze del cuore con la Presenza di Dio, faccia a faccia con Lui, fino all'annuncio del Figlio, Gesù, presente, sì, ma sempre veniente, Colui che ritorna.
Siamo stati raccolti anche noi lungo la strada; passando Egli ci ha visto, ha notato le ferite del nostro dolore, della nostra condizione di fragilità, di bisogno. Ha versato il suo olio, il suo vino, medicina della Presenza che sola può davvero guarire e poi ci ha consegnato alla cura di altri, presso la locanda della misericordia, dicendo così: “Al mio ritorno, ti rifonderò”. Come leggiamo anche nella nostra Vitae Formula, Regola umile e bellissima del Carmelo, dalla penna di Alberto: “Il Signore stesso, al suo ritorno, gli restituirà il sovrappiù che avrà speso”. Il Carmelo, allora, è questo sovrappiù di dono, di grazia, di amore speso, nella preghiera, nella relazione col fratello, con la sorella, nella profezia di una vita che è cammino paziente sulle orme di Cristo, che qui si rivela quale Sposo dell’anima nostra.
Non c’è nessuno che non sia adatto per questo cammino, per questo incontro, per l’abbraccio con Dio; per questo e non per altro noi siamo fatti, a questo noi siamo chiamati, siamo attesi da sempre. Amen.
Fonte: Sr. Anastasia di Gerusalemme, Carmelitane Ravenna
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